La lettera anonima che fa tremare le stanze del potere in Vaticano


Il cardinal Tarcisio Bertone.


La Curia vaticana, nel sesto anno del pontificato ratzingeriano, assomiglia sempre di più a un’antica corte rinascimentale dove intrighi e conflitti, colpi bassi e lotte di potere si svolgono silenziosi intorno a un sovrano oramai anziano, concentrato su alcuni, pochi, atti di governo. E che non pare più in grado di gestire l’immensa e ramificata macchina amministrativa e burocratica dei sacri palazzi.
LA LETTERA A BERTONE. Un problema che per la verità fu anche di Giovanni Paolo II e che in molti pensavano sarebbe stato affrontato dal suo successore. Niente però sembra cambiato nella sostanza, tanto che da ultimo è venuto fuori il caso della lettera anonima con tanto di minacce, indirizzata nientemeno che al Segretario di Stato, il cardinale Tarcisio Bertone.
LA MACCHINA DEL FANGO. Il fenomeno certo non è nuovo. Per esempio, quando si avvicina il conclave, per citare un classico della materia, cominciano a circolare diversi dossier con informazioni compromettenti che spesso approdano nelle redazioni dei giornali e che hanno l’intento di screditare e tagliare fuori qualche alto porporato dalla corsa per il papato.
La pratica della missiva anonima, insomma, è piuttosto diffusa Oltretevere, ma il fatto che questa volta la faccenda ripresa da Panorama sia diventata di pubblico dominio significa che il problema è serio: gli equilibri interni al piccolo Stato stanno saltando.

Le aspirazioni di monsignor Viganò

Tarcisio Bertone, segretario di Stato vaticano.

La lettera in questione, per altro, contiene elementi che fanno sospettare che il mittente si trovi all’interno delle mura vaticane. Nella missiva si fa, infatti, riferimento a un caso specifico: quello del segretario del governatorato del Vaticano – nevralgico centro di potere economico e amministrativo – che da tempo dovrebbe essere sostituito, almeno secondo i desideri del cardinale Bertone.
Si tratta di monsignor Carlo Maria Viganò, considerato da alcuni osservatori un buon amministratore, che aspira ora alla carica di governatore ricoperta dal cardinale Giovanni Lajolo giunto quasi al termine del suo mandato.
LOTTA PER LA SEGRETERIA. Viganò è contrario all’idea di essere inviato come ambasciatore vaticano nella prestigiosa sede di Washington come chiede la Segreteria di Stato. Così, da tempo, si è scatenata una lotta interna per decidere chi dovrà occupare il posto di governatore e segretario.
La lettera anonima critica quindi Bertone per le scelte improprie compiute in fatto di collaboratori, e in generale costituisce un atto d’accusa alla sua gestione; inoltre contiene una citazione iniziale tratta da un testo di don Giovanni Bosco, fondatore dei salesiani, congregazione cui appartiene lo stesso braccio destro di Benedetto XVI. «Grandi funerali a corte!» recita il testo tratto da una profezia del celebre sacerdote contro la monarchia Savoia risalente alla metà dell’800, e di sicuro quel riferimento macabro non sarà stato gradito.

I salesiani in Curia e il ‘sistema’ Bertone

Da sinistra, il cardinal Angelo Bagnasco, Silvio Berlusconi e il cardinal Tarcisio Bertone.

Il cardinale Segretario del resto conta diversi nemici nella Chiesa universale. Lui, da parte sua, ha cercato in ogni modo di centralizzare ogni aspetto del governo ecclesiale alimentando critiche e contestazioni.
Molti sono ora i salesiani in Curia in vari dicasteri, così come è di osservanza bertoniana lo Ior – la banca vaticana – guidato da Ettore Gotti Tedeschi (area Opus Dei), l’Osservatore romano e la nunziatura della Santa Sede presso lo Stato italiano affidata a monsignor Giuseppe Bertello.
LE TENSIONI CON LA CEI. In tale contesto, da diversi anni, si trascina il conflitto fra la Conferenza episcopale e la Segreteria di Stato su chi abbia la titolarità dei rapporti con il governo italiano e la politica in generale.
Le tensioni con il cardinale Angelo Bagnasco sono state frequenti e il suo predecessore, il cardinale Camillo Ruini – che ha ancora molti amici anche nel governo – è stato un altro competitor di Bertone.

L’ala wojtyliana critica l’era Ratzinger

Benedetto XVI e il Segretario di Stato vaticano Tarcisio Bertone.

La vecchia ala diplomatica vaticana, invece, ha messo sotto accusa le improvvisazioni e gli errori dell’era Ratzinger. Di questo gruppo fanno parte, fra gli altri, alcuni esponenti della stagione wojtyliana come l’ex Segretario di Stato Angelo Sodano, e l’argentino Leonardo Sandri a suo tempo numero tre della Segreteria di Stato e oggi alla guida della Congregazione per le chiese orientali.
Sulla credibilità di entrambi, però, pesano i trascorsi rapporti con i Legionari di Cristo, la corrotta e ricchissima congregazione fondata da padre Marcial Maciel.
PONTIFICATO EUROCENTRICO. Intanto Bertone e i suoi hanno operato su più fronti, compreso quello economico, da ultimo con l’operazione sul San Raffaele di don Verzè e cercando, invano, di ‘conquistare’ anche l’università Cattolica, difesa dalla diocesi milanese e dalla Cei.
Sul fronte internazionale, poi, le evidenti assenze e mancanze della Segreteria di Stato sono scaturite anche da un pontificato orientato programmaticamente verso un’Europa sempre più secolarizzata e di fatto disinteressato ai grandi cambiamenti del mondo.

I nazisti e il vaticano, la vera storia dei rapporti che hanno cambiato il mondo


 
I NAZISTI e IL VATICANO
Una strana alleanza

Hitler, fervente cattolico (a sinistra lo vediamo mentre si fa fotografare all’uscita di una chiesa, devotamente col cappello in mano e, sotto, mentre intrattiene premurosamente una suora in serafico atteggiamento) ha addirittura considerato “profetica” la sua “missione” rifacendosi al un motto dei re prussiani “Gott mit uns!” (Dio è con noi!).

Evidentemente tanto affetto per la Chiesa Cattolica è stato in qualche modo ricambiato, dato che il Vaticano, come è noto e come racconteremo in questa pagina, si è attivamente adoperato per FAR FUGGIRE IN SUDAMERICA il maggior numero possibile di CRIMINALI NAZISTI, salvandoli dai processi per crimini di guerra e concedendo loro, ivi compreso MENGELE, il medico torturatore di bambini, il PASSAPORTO DIPLOMATICO DELLA SANTA SEDE con tanto di falso nome.

Il riverente ossequio dello Stato italiano nei confronti del Vaticano ha sempre ostacolato una completa ricostruzione storica di ciò che si celava dietro un simile costante ed appassionato interessamento.

Recentemente però, allo scadere dei 50 anni di segretezza, gli USA hanno aperto gli archivi di guerra, (ovvero nel 1995), evidenziando ancora di più le complicità della “santasede” nelle operazioni di “salvataggio” dei criminali nazisti.

Sorge spontanea la domanda: PERCHE’ tanta reciproca amicizia fra Nazisti e Vaticano?
Perché la chiesa cattolica si è sentita in qualche modo “debitrice” e riconoscente nei confronti dei NAZISTI?

Certamente i nazisti e il Vaticano condividevano gli stessi “nemici storici”: gli EBREI e i COMUNISTI. ma questo non basta a spiegare i motivi di un affiatamento così coordinato.

La fuga di molti criminali nazisti in sudamerica, la perfetta organizzazione che ha consentito loro di disporre di passaporti della santa sede con falso nome e con incredibile tempestività, il loro inserimento sociale nella nuova patria, prevalentemente l’Argentina, scrupolosamente curato e finanziato dalla chiesa cattolica…. tutto lascia supporre che il Vaticano avesse stabilito già da tempo degli accordi segreti con i nazisti che prevedevano una tale forma di assistenza in caso di disfatta.

Chissà cosa prevedevano questi misteriosi accordi nel caso in cui la guerra fosse stata sciaguratamente vinta dai tedeschi! Nessuno lo saprà mai, sia per la difficoltà di simili ricerche storiche, sia perché i diretti interessati hanno ovviamente i loro motivi per mantenere la più totale ed impenetrabile omertà.

Sotto: Foto di vescovi che partecipano sorridenti a manifestazioni naziste

Spettacolare immagine di vescovi col braccio alzato nel saluto nazista “Heil Hitler!

Joseph Mengele
Medico nazista appassionato di “esperimenti”
su cavie umane, compresi i bambini
Sfuggito alla giustizia grazie ad un passaporto del vaticano
che gli ha consentito di fuggire in sudamerica

mengeleFu il dottor-morte, l’angelo nero di Auschwitz, la “primula rossa” del nazional-socialismo, colui che sterminò migliaia di ebrei, utilizzandoli come cavie umane, in esperimenti indicibili, volti a ricercare il gene per la creazione di una pura e sacra razza ariana.

Nato a Gunzburg, il 16 marzo 1911, figlio di una facoltosa famiglia di imprenditori tedeschi, si iscrisse alla facoltà di medicina, conseguendo la laurea nel 1935, con una tesi, di cui fu relatore il professor Mollison, convinto sostenitore della disparità delle razze, che gli procurò un posto da ricercatore presso l’università di Francoforte, ove Mengele fece l’incontro fatale con il professor Ottmar von Verschuer, genetista del reich e teorico della manipolazione genetica, convinto che la chiave per la creazione di una pura razza ariana, fosse da ricercare nel sistema biologico dei gemelli.

Arruolatosi nelle SS, ed autorizzato alle nozze con Irene Schoenbein, allo scoppio della guerra Mengele fu inviato all’ufficio di Poznan per la razza e gli insediamenti umani fino al 1942, quando venne assegnato al corpo sanitario della divisione Waffen SS Wiking, stanziata sul fronte russo; poco più tardi venne ferito, rimpatriato a Berlino e decorato al valore con la croce di ferro di prima classe; ritornato nella capitale, si ricongiunse con il professor Verschuer, divenuto, nel frattempo, direttore del dipartimento di antropologia e genetica del prestigioso “Kaiser Wilhelm Institut”; i due proseguirono i loro studi sulla teoria dei gemelli, rendendosi ben presto conto che la guerra stava offrendo la possibilità di sfruttare direttamente, per le loro ricerche, cavie umane, attingendo alle decine di migliaia di ebrei, deportati nei campi di concentramento.

Il 30 maggio 1943 fu il giorno della svolta: Josef Mengele venne inviato in Polonia, presso il campo di sterminio destinato a diventare l’emblema dell’olocausto, Auschwitz, ove sarebbe, tristemente, divenuto noto come “l’angelo sterminatore”, in quanto non solo si occupò delle selezioni dei nuovi arrivati, con assoluto potere di vita o di morte, ma, in via principale, si dedicò alla continuazione dei suoi studi, facendo ricorso allo sterminato serbatoio umano a sua disposizione.

Nel suo laboratorio, presso il blocco numero 10 del campo, si lasciò andare ad esperimenti indicibili, agghiaccianti, aventi ad oggetto, soprattutto, le coppie di gemelli rastrellate nel campo: operazioni senza anestesia, mutilazioni, iniezioni di virus come la lebbra o il tifo. Mengele praticò trasfusioni incrociate tra gemelli, tentò dicreare in laboratorio dei fratelli siamesi, cucendoli insieme,iniettò liquido nei loro occhi al fine di mutarne il colore, procedette a castrazionisterilizzazionicongelamenti ed ad altri orrori indicibili.

Il suo laboratorio era un raccapricciante coacervo di ossa feti, organi sottovuoto, cervelli, tutto materiale che veniva inviato a Berlino, al maestro professor Verschuer.

Con l’avvicinarsi della sconfitta l’angelo nero pianificò, meticolosamente, la sua fuga, che lo condusse in Sudamerica, sotto falso nome (“Gregor Helmut”) GRAZIE AL PASSAPORTO GENTILMENTE FORNITO DAL VATICANO.

Nonostante la spietata caccia mossagli dal servizio segreto israeliano, riuscì a farla franca e ad evitare la resa dei conti per i suoi spaventosi crimini.

Nessuno è tuttora a conoscenza del vero destino di Mengele; si dice che sia morto il 24 gennaio 1979, per annegamento, a Bertioga, in Brasile, ma in realtà, quelle che sono state le vicende dell’angelo sterminatore di Auschwitz, rimarranno, per sempre, avvolte nel mistero.

RISULTATI DI UNA INDAGINE CONDOTTA
DAL QUOTIDIANO SECOLO XIX

Le lunghe indagini di Goni, volte a dimostrare che l’immigrazione in Argentina di criminali della Seconda Guerra Mondiale non fu subita passivamente bensì pianificata e organizzata dal governo di Juan Domingo Peron con la collaborazione di ex ufficiale delle SS e con la complicità della Chiesa, accendevano di riflesso i riflettori su Genova.

La città veniva indicata quale luogo di passaggio, soggiorno e imbarco di alcuni fra i più noti e sanguinari ufficiali delle SS e di collaborazionisti francesi e ustascia. La rete di protezione e aiuto dei gerarchi in fuga aveva visto la luce a Genova nel 1947 con l’apertura in via Albaro 38 degli uffici della Daie – Delegaciòn Argentina de Inmigraciòn en Europa – ad opera di Carlos Fuldner, ex ufficiale delle SS di nazionalità tedesco-argentina, inviato speciale del presidente Peron.

Ad occuparsi dell’accoglienza e delle formalità di imbarco verso il Sudamerica erano dei sacerdoti: in particolare il francescano ungherese della parrocchia di Sant’Antonio di Pegli, Edoardo Dömoter, e l’ex ustascia padre Carlo Petranovic e, in almeno un’occasione, del segretario della Confraternita di San Girolamo, a Roma, padre Krunuslav Draganovic.

Sulla scorta di questi elementi, l’inchiesta del Secolo XIX è andata ricostruendo le tappe della presenza in città e dell’imbarco verso il Sudamerica di criminali nazisti come Adolf Eichmann, Klaus Barbie, Eric Preibke, Joseph Mengele, Gerhard Bohne, del capo ustascia Ante Pavelic e dei suoi stretti collaboratori. Il tutto attraverso l’esame e la pubblicazione di documenti – i passaporti della Croce Rossa rilasciati ai fuggitivi, i cartellini di sbarco in Argentina ritrovati negli archivi desecretati del Centro di Immigrazione di Buenos Aires, i rapporti del Foreign Office e dell’intellingence americana, l’esame della corrispondenza di alti prelati vaticani quali monsignor Alois Hudal e il cardinal Eugene Tisserant… – interviste a personaggi coinvolti nella vicenda, interventi di storici e reportage da Buenos Aires, Washington e dal Canada.

Partirono da Genova, con coperture del clero, Mengele, Eichmann, Priebke: “Il Secolo XIX – scrive Le Monde – fornisce date, indirizzi dei nascondigli, nomi e stabilisce connessioni fra tutto ciò, ricordando il ruolo dell’organizzazione Odessa, e pubblicando documenti compromettenti”.

Ferenc Vajta

Ferenc Vajta era un criminale di guerra ungherese autore di spietati eccidi di massa.

È stato protagonista attivo della politica clandestina degli emigrati politici sin dal 1932, quando cominciò a impegnarsi in questi campi per ordine del Ministero degli Affari Esteri ungherese.

Fu uno dei principali propagandisti nazisti nei quotidiani patrocinati dalla Germania, aveva lavorato per i servizi segreti ungheresi prima della guerra. Il 10 aprile 1947, Vajta fu arrestato a Roma dalle autorità italiane, ma il 26 aprile venne rilasciato, malgrado si trovasse sulla lista ufficiale dei criminali di guerra e lItalia dovesse consegnarlo come tale alle autorità straniere.

Il rilascio di Vajta era stato congegnato da Pecorari, segretario generale della Democrazia Cristiana [e vicepresidente dellAssemblea costituente] e da Insabato, capo del Partito Agrario Italiano.

Aveva eccellenti contatti in Vaticano, in Inghilterra, in Francia e in Spagna. Inoltre conosceva personalmente il generale Franco, il ministro degli esteri spagnolo Artajo e il cardinale primate di Spagna. Nel 1947, Vajta intraprese un viaggio segreto con Casimir Papee, uno straordinario diplomatico polacco  presso la Santa Sede dal 1939,  un autorevole membro dellIntermarium [che aveva] collegamenti con i servizi segreti occidentali.  Nel corso del loro viaggio i due sincontrano con funzionari dei servizi segreti inglesi e francesi.

A seguito di pressioni da parte del governo ungherese, la polizia italiana emise un mandato d’arresto nei confronti di Vajta. Il 3 settembre, al ritorno dal suo viaggio con Papee, lungherese fu avvisato del suo imminente arresto.  Vajta si recò immediatamente a Castelgandolfo, la residenza estiva del Pontefice. La mattina del giorno successivo poté tornare impunemente a Roma, grazie alle sue potenti amicizie: Alcide De Gasperi, che era anche primo ministro, aveva personalmente garantito per la [sua] salvezza. Inoltre egli aveva ottenuto dei documenti falsi, rilasciati dai francesi. A Roma ottenne una breve ospitalità presso un padre gesuita ungherese nell’Università Gregoriana Gesuita, e scappò poi per Livorno con la gente del CIC Gowen, per poi scappare in Spagna. Da quell’anno, si mise a lavorare per gli americani al progetto dell’Unione Continentale.

Il 16 dicembre 1947 arriva a New York con un visto emesso dal consolato americano a Madrid e contrassegnato dalla dicitura “Diplomatico”. Negli USA, Vajta incontrò il cardinale Spellmann, il leader gesuita padre La Farge e un gran numero di capi politici emigrati allo scopo di procurarsi appoggi per lUnione Continentale. La visita di Vajta non passò inosservata, e grazie all’intervento dei due noti giornalisti Drew Pearson e Walter Winchell il governo fu sommerso dalla pubblicità negativa.

Vajta fu immediatamente arrestato, e il 3 febbraio 1948 gli ungheresi chiesero la sua estradizione. Gli americani non volevano restituirlo all’Ungheria e finalmente fu cacciato dagli Stati Uniti nel febbraio del 1950 e dopo il rifiuto da parte di Italia e Spagna di raccoglierlo, andò in Colombia. Il Vaticano intervenne e fece in modo che la Colombia lo accettasse e che un piccolo collegio cattolico situato laggiù lo impiegasse. Trascorse il resto della sua vita a Bogotà come professore di economia.

Gustav Wagner

Comandante del campo di concentramento di Sobibor durante la guerra. Arrestato, fuggì dalle prigioni alleate e percorse insieme a Franz Stangl la strada per Roma.
Fuggì infine in Brasile grazie all’opera caritatevole del vescovo Hudal.

Alois Brunner

Uno degli ufficiali più spietati che portarono a compimento il programma di deportazione degli ebrei, riuscì a fuggire attraverso la rete ordita dal Vaticano per permettere la fuga dei nazisti. Fuggì a Damasco, in Siria, dove vive ancora sotto il nome di dottor George Fischer,  impunito per le centinaia di migliaia di vittime che inviò a Stangl e Wagner affinché le processassero.

Walter Rauff

Criminale di guerra, capo della Gestapo nella Repubblica di Salò eterminale milanese della rete di fuga del vescovo Hudal nel dopoguerra. Partecipò direttamente allo sterminio degli Ebrei, mettendo a punto una innovativa tecnica di morte: A seguito dellangoscia provata da Himmler [ministro degli interni] nell’assistere a una fucilazione di massa di ebrei a Minsk nel 1941, Rauff aveva diretto lo svolgimento del programma per la messa a punto di furgoni a gas mobili nei quali morirono circa centomila persone, per la maggior parte donne e bambini dell’Europa orientale. In seguito alla caduta del regime di Mussolini, nel settembre del 1943 Rauff fu inviato in Italia settentrionale, dove prestò servizio presso le SS nella zona intorno a Genova, Torino e Milano. Ancora una volta il suo incarico era quello di sterminare la popolazione ebrea.

Nella primavera del 1943, il vescovo Hudal entrò in contatto con questo famigerato autore di stragi, incontrandolo a Roma, dove Rauff era stato mandato dal suo superiore Martin Borrmann per sei mesi. In quei mesi furono stabiliti i primi contatti col Vaticano, che avrebbero portato, infine, all’istituzione da parte di Hudal di una rete per l’espatrio clandestino dei criminali nazisti. Con l’aiuto di Rauff, i più alti funzionari della Wehrmacht nell’Italia settentrionale [ed in particolare l’Obergruppenführer Karl Wolff] intrapresero una serie di negoziati segreti per la resa. Allen Dulles, il capo del servizio segreto americano in Svizzera, concluse la resa con le forze tedesche con l’aiuto di intermediari del Vaticano. A questi negoziati venne dato il nome in codice di “operazione Sunrise” e, anche se non abbreviarono la guerra, gli ufficiali nazisti che vi parteciparono sfuggirono ad una dura pena. Sull’operazione Sunrise, Il Secolo Corto ci fornisce ulteriori particolari.

L’operazione era condotta ufficialmente per risparmiare inutili morti, ma il suo scopo reale era invece di evitare che fossero i partigiani democratici italiani a conseguire la vittoria sull’esercito tedesco, poiché ciò avrebbe rafforzato il loro potere. I contatti fra Dulles e Rauff erano cominciati già all’inizio del gennaio 1945. Nel marzo dello stesso anno, le trattative fra OSS e SS erano giunte a un punto talmente avanzato da giustificare una prova concreta di buona fede da parte tedesca. Il 3 marzo Walter Rauff ebbe un incontro a Lugano con Dulles.  Lincontro  servì per organizzare il rilascio dei prigionieri americani e inglesi che si trovavano nelle mani della Gestapo in Italia. Le trattative proseguirono poi a ritmo serrato. A metà aprile Wolff si recò in Svizzera contando sulla sua reputazione personale presso gli anglo-americani per ottenere garanzie da parte di Dulles che “gli elementi idealisti e rispettabili dellesercito, del partito, e delle SS avrebbero potuto svolgere una parte attiva nella ricostruzione della Germania”. Non si trattava quindi soltanto della resa delle truppe tedesche nell’Italia settentrionale, ma di qualcosa che implicava una connivenza futura con i quadri qualificati del nazismo.

Dulles concesse in pratica un’amnistia ufficiosa alle SS. Quasi una pace separata, comprendente non solo la salvaguardia della vita, ma anche la libertà personale e la protezione dell’espatrio verso luoghi lontani e sicuri. Quando, il 29 aprile del 1945, l’esercito tedesco si arrese, Rauff ottenne un falso passaporto a nome di Carlo Comte e affittò un appartamento a Milano. Poi prese la sua copia dei documenti della polizia segreta di Mussolini, che comprendevano le liste degli iscritti al partito fascista, e la seppellì di nascosto fuori città. Sapeva che quei documenti si sarebbero rivelati molto utili nei mesi a venire e la sua previsione si dimostrò corretta. Il giorno seguente, tuttavia, Rauff venne arrestato dagli americani e rinchiuso nella prigione di San Vittore a Milano. Nel giro di alcune ore, arrivò un sacerdote e fece in modo che l’ufficiale tedesco venisse trasferito in un ospedale dell’esercito americano. Rauff venne rilasciato per essere affidato alla custodia della “S Force Verona”, un’unità dell’OSS che operava con la squadra di controspionaggio speciale anglo-americana in Italia, comandata da James Jesus Angleton. Tra le altre cose, la S Force era l’equivalente occidentale della sezione anticomunista di Rauff durante la guerra.

NOTA: Angleton e Dulles divennero in seguito, rispettivamente, capo del controspionaggio e direttore della CIA, e mantennero per tutta la durata della loro carriera il controllo esclusivo sui collegamenti tra i servizi segreti americani ed il Vaticano. Rauff fu rilasciato dopo un lungo interrogatorio sulle attività anticomuniste della Gestapo. Monsignor Giuseppe Bicchierai, segretario del cardinale di Milano Schuster, organizzò le cose in modo tale che questi potesse starsene nascosto nei conventi della Santa Sede.

Rauff prese contatto con l’arcivescovo di Genova Siri e andò immediatamente a Milano a lavorare per il Vaticano alla creazione di un sistema per far fuggire clandestinamente i nazisti.

Secondo Il Secolo Corto, dal 1945 al 1949 Rauff, agendo per conto deiservizi segreti americani sotto la copertura di un’organizzazione di aiuto ai rifugiati gestita dal Vaticano, avrebbe fatto partire clandestinamente verso asili sicuri più di 5.000 fra agenti della Gestapo e SS.

Nel 1949 Rauff lascia l’Italia per il Sud America, senza neanche prendere la precauzione di usare documenti falsi: il nome sul passaporto era infatti proprio il suo. Visse tranquillamente in Cile, paese che ne negò l’estradizione anche dopo che fu eletto il socialista Salvador Allende.

Adolf Eichmann

Principale artefice dell’olocausto nella veste di capo del Dipartimento per gli affari ebrei. Nel 1950, Hudal gli fornì una nuova identità, quella del profugo croato Richard Klement e lo mandò a Genova. Lì Eichmann  fu nascosto in un monastero, sotto il controllo caritatevole dell’arcivescovo Siri, prima di essere fatto fuggire clandestinamente in Sudamerica.
La Caritas ha addirittura pagato tutte le spese di viaggio per permettere a Eichmann di raggiungere il Sudamerica. 
Alla fine, Eichmann fu rintracciato in Argentina dal servizio segreto israeliano, rapito, processato e giustiziato a Gerusalemme nel 1962.

Le strane iterazione tra il mondo dell’hard e quello della Chiesa


Benedetto XVI condanna l’ hard su internet mostrando grosso fastidio per l’ attività editoriale della Cei tedesca.
Il caso Weltbild continua ad allargarsi. La catena di librerie più grandi della Germania, posseduta interamente dalla Chiesa cattolica tedesca, ha nel proprio catalogo materiale erotico, così come alcune società partecipate da Weltbild sono attive nelle produzioni hard. Questo tipo di iniziativa imprenditoriale è molto sgradita al Papa, che ha fatto ricevere un in equivoco messaggio: la Chiesa deve combattere l’arte erotica, non promuoverla né tantomeno venderla.
AMBASCIATOR NON PORTA PENA – Due giorni fa il Papa ha ricevuto il nuovo ambasciatore della Germania. Il suo messaggio è stato inequivocabile
Papa Benedetto XVI critica la ”discriminazione di genere delle donne” provocata dalle ”tendenzematerialistiche ed edonistiche” e dalla diffusione della pornografia anche via internet, soprattutto in Occidente. Ricevendo oggi in udienza il nuovo ambasciatore tedesco presso la Santa Sede, il pontefice ha ricordato che ”ogni persona, sia uomo o donna, e’ destinato ad esserci per l’altro”.
Per il papa, ”un rapporto che non tenga in conto il fatto che l’uomo e la donna hanno la stessa dignita’, rappresenta una grave mancanza nei riguardi dell’umanita’. E’ giunto il momento di fermare energicamente la prostituzione come anche la vasta diffusione di materiale a contenuto erotico e pornografico, anche e proprio tramite internet”. ”La Santa Sede – ha concluso – si impegnera’ affinche’ il necessario intervento da parte della Chiesa cattolica in Germania contro queste genere di abusi avvenga in maniera piu’ decisa e chiara”

Parole chiare, dove spicca il riferimento al materiale a contenuti hard venduto su Internet, e il passaggio in cui il Papa chiede maggior chiarezza alla Chiesa tedesca. Il caso Weltbild dunque infastidisce, e molto, il Vaticano, perché le diocesi della Nazione natale di Benedetto XVI fanno il contrario di quanto sostiene il Papa.

PAPA APPOGGIA LA VENDITA? – Un messaggio che deve essere risultato molto pesante per Carel Halff, il Ceo di Weltbild, che solo un mese fa, ricorda Die Welt, aveva incontrato in persona Benedetto XVI, in una visita privata nella quale erano presenti i suoi datori di lavoro, i vescovi tedeschi. Secondo Die Welt, giornale di simpatie conservatrici e molto attento al cattolicesimo, il Papa ha voluto lanciare un chiaro segnale alla Conferenza episcopale tedesca, suggerendo di seguire la campagna della diocesi di Colonia. Il porporato renano ha chiesto di vendere Weltbild, appoggiando così la posizione del Forum dei cattolici tedeschi, un gremio di provata fede ratzingeriana.

TRAPPOLA WELTBILD – La Chiesa tedesca subisce un altro scossone dal caso Weltbild con l’intervento del Papa. All’interno della Conferenza episcopale ci potrebbero essere movimenti per chiedere anche una svolta nella leadership, la cui reazione è giudicata molto debole sulla vicenda. Nel 2008 la Chiesa era riuscita a tacitare il piccolo scandalo sulle vendite a luci rosse della sua casa editrice, però il cambio di passo imposto dal Papa e dai suoi fedelissimi potrebbe provocare la definitiva separazione dalla società leader nelle vendite dei libri al dettaglio nel mercato germanofono. Risposte imbarazzate e imbarazzanti, come quella che spiegava che i libri erotici venduti erano pochissimi, non saranno più tollerate dal Vaticano.

Lo IOR e la banda della Magliana


ROMA – Cold cases. Così li chiamerebbero gli investigatori americani. “Casi freddi”, casi rimasti come sospesi nel tempo, senza un colpevole e senza una ricostruzione certa dei fatti. Casi che dunque vengono riaperti con il riaffiorare di nuovi elementi potenzialmente in grado di far luce sull’accaduto. È esattamente quello che sta avvenendo in questi giorni, con le novità emerse intorno al delitto di Via Poma e al sequestro di Emanuela Orlandi, due dei più controversi misteri della capitale.
Mentre si tentano di decifrare i messaggi lasciati da Pietro Vanacore, ex portiere dello stabile nel quale il 7 agosto 1990 venne uccisa Simonetta Cesaroni, suicidatosi proprio prima di deporre in corte d’assise a Roma al processo a carico dell’ex fidanzato della ragazza, Raniero Busco, è ad una svolta anche il caso di Emanuela Orlandi, figlia di un funzionario vaticano, sparita nel nulla il 22 giugno 1983 all’età di 15 anni.
I MISTERI DELLA BANDA DELLA MAGLIANA
Dopo 26 anni dal rapimento ci sono tre indagati. Gli ultimi in ordine di tempo sarebbero Angelo Cassani, detto “Ciletto” e Gianfranco Cerboni detto “Gigetto”. I due, che restano a piede libero, sono indagati per sequestro di persona a scopo di estorsione aggravato dalla morte e dalla minore età dell’ostaggio. Ieri era emerso il nome del primo indagato,Sergio Virtù, 49 anni, interrogato dal procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo e dal pm Simona Misto, titolari degli accertamenti sul caso, nel carcere di Regina Coeli dove si trova ora rinchiuso per altri reati e in forza di un possibile pericolo di fuga. Le accuse che gli vengono contestate, nel fascicolo sulla Orlandi, sono quelle di sequestro a scopo di estorsione e omicidio volontario aggravato.
Secondo l’accusa l’uomo era l’autista di Enrico De Pedis, il boss della banda della Magliana. Sarebbe stato dunque lui a rapire Emanuela Orlandi nella zona del Vaticano per poi consegnarla al boss. A fare il suo nome la superteste Sabrina Minardi, ex compagna di De Pedis e Fabiola Moretti, già pentita della banda della Magliana. Entrambe lo hanno indicato come una persona esterna alla banda ma molto legata a «Renatino» tra il 1982 e il 1983.
I RACCONTI DELLA MINARDI
Nel corso dei colloqui con i magistrati la Minardi in particolare ha riferito di aver visto Emanuela al laghetto dell’Eur, poche ore dopo il sequestro. Con la ragazzina ci sarebbe stato proprio Sergio. La donna ha anche sostenuto di aver guidato un’auto, con accanto De Pedis, seguita dalla vettura del Virtù con a fianco Emanuela. Le due auto raggiunsero Torvajanica dove la Orlandi venne affidata per circa tre settimane alle «cure» di un’altra donna. Alcuni mesi dopo la 15enne, sempre secondo il racconto, venne consegnata a un sacerdote dopo essere stata prelevata dalla donna in un bar del Gianicolo dove le fu affidata dallo stesso Sergio.
LA EX CONVIVENTE
L’ipotesi accusatoria nei confronti di Sergio Virtù, è alimentata però anche dalle parole di un’altra donna, una sua ex convivente, alla quale l’uomo avrebbe raccontato di aver avuto un ruolo nel sequestro della Orlandi e di avere per questo ricevuto anche un compenso.
ESTRANEO AI FATTI
Davanti ai magistrati Virtù ha però negato ogni addebito: non avrebbe quindi conosciuto De Pedis né avrebbe partecipato al sequestro della 15enne. L’uomo ha solo ammesso di aver conosciuto Claudio Sicilia, detto «er vesuviano», considerato dagli inquirenti l’anello di congiunzione tra la camorra e la banda della Magliana, diventato poi collaboratore di giustizia e per questo ucciso nel 1991 a Tor Marancia, periferia della capitale.
«Un passo importante» – Sono queste le parole usate dalla mamma di Emanuela Orlandi per commentare la svolta nelle indagini. «Dopo quasi 27 anni esce questa nuova storia – dichiara -. Ma perché non ne hanno parlato prima? Eppure di questa banda della Magliana non si parla solo da oggi. Ma se veramente questa storia avrà un qualche fondamento, la verità verrà fuori. Tutta la famiglia è forte e compatta, in attesa della verità. Dispiace solo che queste rivelazioni escano a distanza di così tanto tempo».
I DUBBI DEL FRATELLO PIETRO
«È una notizia positiva perché significa che i pm stanno continuando a lavorare con impegno. Dopo 26 anni non è facile. Se Sergio Virtù è davvero implicato potrebbe identificare il sacerdote al quale, secondo il racconto dell’ex amante di De Pedis Sabrina Minardi, Emanuela fu consegnata». Questa la reazione di Pietro Orlandi che comunque, non nasconde i dubbi relativi sia alla ricostruzione dei fatti fornita dalla donna ai magistrati della Procura di Roma sia alle rivelazioni di Mehmet Ali Agca, l’attentatore di Giovanni Paolo, secondo il quale Emanuela sarebbe ancora viva da qualche parte in Europa.

Incontro in gran silenzio tra Papa Ratzinger e il presidente dell’unione Europea


Mentre per l’Italia, ieri, è stato il giorno delle dimissioni di Berlusconi, in Vaticano, papa Benedetto XVI ha ricevuto il presidente del Consiglio europeo, Herman Van Rompuy.

Durante un incontro durato venti minuti, il Pontefice ha espresso la sua preoccupazione per i grandi problemi del l’Unione europea.

papa-rompuy.jpgL’incontro, definito “amichevole” da un comunicato emesso dalla Sala stampa del Vaticano, si è tenuto nella biblioteca del palazzo papale.

C’è stato, dice il comunicato, “un utile scambio di opinioni sulla situazione internazionale e sul contributo che la Chiesa Cattolica desidera offrire all’Unione Europea. Nel corso del dialogo ci si è soffermati, inoltre, sulla promozione dei diritti umani ed, in particolare, della libertà religiosa”.

Il Presidente ha donato al Papa un libro, Van Rompuy ha ricevuto una medaglia d’oro.

L’ex presidente belga si è poi incontrato con il cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone e con mons. Dominique Mamberti, segretario per i Rapporti con gli Stati.

L’elenco delle spie del Vaticano in Italia


Come molti sanno, e qualcuno lo starà iniziando ad apprendere leggendo questi miei articoli, la mia indagine sui rapporti tra il Vaticano e le altre potenze del mondo parte da una condizione particolare, quello di essere stato per anni un membro dell’intelligence dei servizi di sua maestà il Pontefice.

Dopo anni di missioni mirabolanti, illuso dal miraggio dell’agire per il bene dei popoli e della cristianità, mi sono accorto che il mondo non è solo “cristiano”, il mondo è fatto di persone, di popoli, di culture e di credo differenti.

Una certezza porto sempre con me, che Dio sia unico per tutti, e che sia sempre vicino a noi nelle nostre azioni, anche quando sbagliamo, anche quando riteniamo che non sia proprio giusto quello che stiamo facendo.

Ma in questi anni ho avuto modo di incontrare centinaia di miei ex-colleghi, gli stessi che probabilmente ogni giorno mi cercano con l’intento preciso di eliminarmi anche fisicamente per far si che io non continui a parlare di queste cose.

Io ho ritenuto corretto mettere il mondo a conoscenza di questa organizzazione al fine di poter aiutare  anche gli stessi agenti che ora prestano servizio, i cosiddetti cavalieri, a provare a salvarsi, pubblicherò in questo sito d’ora in avanti delle schede di ciascuno di essi, di quelli che ho conosciuto ovviamente, descrivendo cosa fanno, che ruolo hanno quale è la loro copertura ed a quali operazioni hanno preso parte.

Partendo da un prete, testimone dell’omicidio di Cedric Tornay e di Herman, le guardie svizzere uccise in Vaticano qualche anno fa, questo prete ora vive al di là dell’adriatico, il suo nome è Ivan.

Ho amato e amo il Signore, non voglio obbedire ai comandamenti degli uomini che cercano di sopraffare gli altri uomini, voglio seguire i comandamenti del Signore che sono scritti dentro al mio cuore, e la verità è uno di questi.

Un caro saluto

Newton M.

La sede dei servizi segreti ufficiali del Vaticano è qui…


Ciò di cui mi accingo a parlarvi non lo troverete su Google né sulle enciclopedie, e il motivo è semplice: si tratta di una delle strutture di servizi segreti più segreta al mondo. I servizi segreti del Vaticano. Si chiama Istituto Gesuitico di Studi Vaghi (IGESVA) e la sede principale è in via dei Cherubini 32, a Roma.
L’Istituto è forse il miglior esempio di agenzia d’intelligence che esista, perché da un lato non ha nessun vincolo democratico quindi non è soggetto a trasparenza, e dall’altro possiede risorse illimitate. Ne avevate mai sentito parlare? Appunto…
In realtà perfino dentro il Vaticano sono davvero pochi a conoscerne l’esistenza: il papa, cui al momento della nomina viene svelato l’intero dossier da parte del segretario di stato. Il direttore dell’Istituto, la cui nomina viene ogni volta rimessa in mano al nuovo papa; attualmente, pure se non è ufficiale (non lo è mai per statuto), il nome del suo direttore è da vari decenni quello di mons. Novacek. E infine alcuni pochissimi alti prelati scelti dal papa per coadiuvarlo nei rapporti con l’Istituto.
Di che si occupa l’Igesva? I compiti istituzionali sono di spionaggio e controspionaggio, articolati in diverse branche della struttura. Tuttavia nel corso della storia le sue mansioni sono andate ben aldilà di ciò che si potrebbe dichiarare pubblicamente. Il nome era stato scelto non senza ironia da qualche alto prelato dotato di umorismo, ma in realtà c’è ben poco di spiritoso nella struttura che si è voluta creare e che risale ai primi anni Settanta, sulla scia delle vecchie scuole gesuitiche rivolte ai problemi della guerra fredda.
Guardandolo dall’esterno il suo monumentale palazzo, antico come il clero, appare orribile, volutamente trascurato, ma una volta dentro si scoprono ambienti enormi dai soffitti affrescati, fra pareti di mattoni a vista perfettamente restaurate, sotto archi a tutto sesto o a crociera. Le sale rivestite di librerie e archivi, e quelle più alte attraversate a metà da complicati ballatoi da cui si diramavano ulteriori scaffali di libri e terminali: sotto quelle volte centenarie lavorano decine e decine di computers collegati con tutte le reti mondiali; grandi schermi video e centraline telematiche tengono sotto controllo notizie, statistiche, documenti di ogni sorta da ogni parte della terra, dall’articolo di cronaca nera apparso sul quotidiano locale di una cittadina del Perù, alle maggiori e complete interpretazioni storico-scientifiche sulla Scuola di Pietroburgo o sui movimenti islamici minori dello Yemen del Nord. Tutto informatizzato, analizzato, valutato, studiato ed espresso in continui scenari di geopolitica. Alcune di queste analisi non servono costantemente solo ai vertici ecclesiastici ma vengono appositamente trasmesse a chi le richiede, governi di paesi amici, diplomazie di tutto il mondo, collaboratori di università straniere, studiosi, giornalisti. Spesso si tratta di innocue ricerche scientifiche sui flussi politici, storici, sociali di situazioni internazionali, attuali o passate, ricerche che al momento giusto possono essere tranquillamente divulgate e fornirebbero materiale di prima scelta agli scienziati e politologi del mondo intero.
Altre volte vengono commissionati sondaggi particolari e top secret su precisi scacchieri finanziari e strategici, per esempio, di uno stato o di un avvenimento, e allora le pratiche sono codificate in una scala di livelli dove la Doppia Alpha rappresenta il massimo criterio di segretezza.

Vi ricordo, questa è quella ufficiale….

A presto

Newton M.

Ecco come i preti pedofili adescavano i bambini


Si rimane esterefatti nel comprendere come degli uomini di fede si siano resi capaci di compiere dei crimini verso dei piccoli indifesi con tanta crudeltà, ma soprattutto con tanta naturalezza.
Quello che abbiamo potuto comprendere nell’organizzazione scientifica e tecnica di questi soprusi è che la chiesa, in terra, si è organizzata in maniera molto più meticolosa rispetto a prima.
Dopo il grave scandalo della pedofilia in America prima e in Irlanda poi i “capi” supremi di questo “sterminio psicologico di massa” hanno iniziato ad utilizzare delle metodologie sempre più subdole.
Dalle nostre informazioni quello che potrete vedere in questi pochi minuti nel nostro documentario è una tecnica che ancora oggi viene usata nei centri cosiddetti di “smistamento”.
Esistono alcune organizzazioni anche ufficiali che di fatto sono organizzate in maniera tale da permettere il transito di bambini e bambine, ma soprattutto bambini, senza essere obbligate a sottostare ad alcun controllo nè di frontiera nè di altra natura.
Guardate questo documento, e fatevi un’idea vostra.
Un caro saluto
Newton M.

Preti e pedofilia, le mappe in Italia

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. Si discute molto della situazione controversa della pedofilia praticata dai sacerdoti italiani e non, ma non emerge mai un dato veramente significativo, cioè del “chi sono” le vittime predilette.
Nelle cronache si ricordano fatti risalenti ad anni addietro o più recenti ma sempre manchevoli di elementi realmente probanti, e poi c’è sempre la schiera dei perbenisti, di quelli che “se è un prete è santo per forza”; di cavolate del genere ne ho sentite a centinaia, una volta ero anche io così, anche io pensavo che l’abito talare desse importanza e serietà ad una persona che lo indossava, ma poi quando ho avuto la possibilità di entrare nel cuore di alcune istituzioni ho visto che quello era solo un paravento.
Di uomini santi nella gestione della chiesa non ce ne sono, e forse non ce ne sono mai stati, i santi stanno in mezzo alla gente, ai poveri alle famiglie in difficoltà, non in auto di lusso con autisti amministrando “privatamente” patrimoni miliardari chissà come accumulati.
Non serve andare in giro per il mondo, basta prendere la macchina e andare a chiedere cosa succede in provincia di Piacenza, a Farini d’Olmo, andate a farini e chiedete del “Borgo pradello” o “del castello del prete”.
Quando provate a chiedere a qualcuno in queste località di queste due cose che vi ho indicato la gente si chiuderà dietro le finestre, si celeranno dietro il perbenismo finto che contraddistingue la gente falsa.
Bè la storia è molto più semplice di come sembrerebbe, ma ve la riassumo in una domanda :
Come è possibile che un prete, che proviene da una famiglia povera, in pochi anni accumuli una ricchezza “personale” superiore ai 15 milioni di euro ?
Questa è una domanda alla quale ho cercato di rispondere anche io, io che ho visto tutto questo con i miei occhi e conosco i nomi, i cognomi di ogni personaggio coinvolto in queste vicende.
La risposta sapete quale è ? E’ che mi hanno detto “zitto o perderai tutto ciò che hai”, e così hanno fatto, hanno distrutto tutto ciò che c’era intorno a me perchè la mia “rivoluzione” avrebbe creato a loro molti problemi, ma la rivoluzione non è sedata, è appena iniziata !! Newton M.